La pace è la risultante di una delle tre possibili soluzioni di una guerra: la vittoria, la sconfitta o l’armistizio.
Non mi piace la definizione “soldato di pace”, che viene data ai militari, specialmente se con questa definizione si intendono identificare i militari italiani.
Secondo buona parte dei militari professionisti, e anche secondo me, quella di “soldato di pace” è una contraddizione di termini: il “mestiere” del soldato è fare la guerra, non fare la pace.
Nel mondo occidentale è invalsa la pessima abitudine di definire “soldati di pace” tutti quegli eserciti o raggruppamenti militari multinazionali che, sulla base di precise regole definite internazionalmente, ma che a ben vedere internazionali non sono affatto, cercano di imporre a due parti in guerra, preferibilmente con la loro presenza, ma a volte anche con azioni di guerra guerreggiata o mediante l’uso selettivo della forza, una tregua, un armistizio, chiamiamolo come vogliamo, anche pace se così piacesse, in modo che le nostre vite non siano più invase dalle immagini di persone fatte a pezzi dagli effetti di una guerra, ma solo dalle storie di veline, calciatori, attrici e quant’altro.
In Italia si è fatto di più, e in peggio: tutte le FF.AA. vengono definite dai politici, dai mass-media, dall’opinione pubblica e, purtroppo, anche dagli stessi Stati Maggiori, Forze Armate di Pace.
I nostri militari non sono “soldati di pace”: sono militari professionisti che, con l’uso degli strumenti di lavoro tipici dei militari, che a rigore di logica non sono “di pace”, devono, e sottolineo, devono, assicurare l’integrità del territorio nazionale, difendere la collettività da minacce esterne ed eventualmente interne, e partecipare a tutte quelle azioni che le decisioni prese dal Governo e il loro status di militare impongono.
Cosa c’entri la pace in tutto questo non lo comprendo…
Nessuna altra categoria ama la pace come la amano i militari, perché i militari conoscono la guerra e questa non piace loro affatto.
Definire “di pace” il lavoro che svolgono nei vari fronti su cui operano è errato, se non criminale, perché ingenera la convinzione in una falsa sicurezza.
Ben vengano le azioni a supporto della popolazione, costruire scuole, ponti, acquedotti, distribuire quaderni e biscotti, ecc., ma solo se e perché servano ad aumentare la loro sicurezza, perché le popolazioni locali siano talmente contente della lavagna nuova e dei quaderni o dell’acqua in casa, e perché non pensino a assemblare ordigni da mettere sulle strade in cui i nostri militari pattugliano o transitano.
E’, questo, un brutto discorso?
La guerra è questa e fino a quando la combatteranno i soldati e non chi sta a guardare la TV a casa, non chiamiamoli “soldati di pace”, perché non se lo meritano.